Ha ragione Jarabe de Palo:
Depende ¿de qué depende?
de según como se mire, todo depende
Eh si… perchè se il coltello sia un’arma o meno lo decide chi lo impugna…
Lo è, se lo usa Jack lo Squartatore. Non lo è (o non necessariamente), se lo usa Vissani.
In quest’ottica ritengo vada letta la discussione intorno ai blog e – soprattutto – ai blogger.
Che siano Apocalittici o Integrati, piuttosto che Apocagrati come afferma l’amico Massimo o Integralittici come allora aggiungo io, tutto dipende da loro. Ossia da noi. Questa è l’unica osservazione che mi sento di fare al commento di Claudio, e che mi frulla per la testa da quanto è partito il meme del mio giardiniere preferito. Non ha senso cercare risposte definitive. Non ha senso cercare accordo. Tutto dipende. Da chi usa il blog. E da come lo usa. Perchè il blog – comunque – è soltanto uno strumento. Magari evocativo. Che richiama idee e forse ideali (per ora). Idee di libertà, di autonomia, di anticonformismo o viceversa di conformismo. Ma solo e sempre uno strumento.
La considerazione è banale, ma consente di inquadrare la questione nell’unico modo possibile.
Chi sono io rispetto al (mio) blog? E rispetto alla (mia) blogosfera?
Un esempio? Se sono un giornalista potrò vivere il blog come lo strumento attraverso il quale esercitare la mia professione (Alessio, ti ci ritrovi?). Ma potrò viverlo, sempre da giornalista, anche come un luogo ove dire ciò che non è opportuno dire sulla testata dove scrivo (chi si candida a rappresentarne l’archetipo?). E potrò viverlo, inoltre, come un luogo ove parlare liberamente di argomenti collegati alla mia professione, ma che non trovano spazi sul mio giornale (Carlo, siamo d’accordo?). Ma vogliamo cambiare esempio? Presto fatto…
Se sono un professionista, potrò vivere il mio blog come uno strumento ove discutere di tematiche attinenti il mio lavoro (giusto Mauro, Titti, Maurizio?). Ma viceversa potrò anche viverlo come un luogo ove parlare di me, e guai a chi mi parla di lavoro! E allora la mia prospettiva cambierà ancora. Se non sono nessuno (o meglio: se non ho un’identità definita, o non mi piace quello che faccio nella vita ) potrò fare del blog ragione di vita, o strumento di realizzazione professionale, o ultima speranza, o grande opportunità, a seconda dei punti di vista (e qui metteteci chi vi pare). Ed in funzione di tutti questi questi “potrò” cambierà completamente l’approccio alle cose ed ai discorsi che affollano la nostra piccola blogosfera di blogosferanti… Non si può mettere in un unico calderone il blog di google con quello di beppe grillo (ammesso che sia ancora un blog)!
Che senso ha parlare d’etica dei blogger, se chi scrive i blog non può essere assimilabile ad una categoria omogenea? Il blog è solo uno strumento e non ha un’etica intrinseca. Tutto dipende da chi lo scrive. E da come si vede e si vive chi lo scrive rispetto al suo blog…
Non ci si metterà mai d’accordo su cos’è un blog – su cosa sia lecito e cosa non lo sia, su cosa sia giusto e cosa sbagliato – se non ci si rende conto che tutto ciò è filtrato da un elemento identitario imprescindibile… Io che ci faccio on-line? e che faccio con il mio blog?
technorati tags: cisco, blog, blogosfera, tassonomia, identità, etica, apocalittici, integrati
Il blog è uno strumento, che senso ha volergli dare un significato intrinseco?
@Stefano .. si uno strumento ma che poggia su una base tecnologica … possiamo a priori dire che il cervello umano è il 50% più intelligente di un computer … un computer capisce solamente 1 e 0 , noi al contrario capiamo 1-0 e ne QUI ne LI .. ma guarda caso i più si lasciano soggiogare dalla macchina [da che parte ti metti ? macchina o uomo?]…
La tua riflessione, Stefano, non fa una piega. Mi piacerebbe conoscere la “scintilla” che l’ha scaturita, se ti va.
Cari saluti
TZ
Non credo che qualcuno obietti questo.
Siamo in un paesetto dove ognuno ha il suo giardino. Qualche volta tra vicini di casa c’è anche un pizzico di “competizione floreale” (sai, tra vicini… basta una comare Gina o una signora Maria che spettegolano sui fiori degli altri, ad innescare la competizione); niente di malvagio, solo un pizzico fisiologico di orgoglio (ma qualche volta anche ostentazione delle proprie abilità nel giardinaggio). Ognuno dal proprio giardino riesce a vedere una manciata di altri giardini, bene o male solo quelli della sua via; per lo meno fino a che la via non fa una curva o non si impenna in salita. Per questo molti preferiscono costruire il proprio nelle vie dove ci sono i giardini più belli (e dove si è innescata la “competizione floreale” in genere ci sono i più belli).
Tu invece sali su un monte vicino al paesetto da dove riesci a vedere tutti i giardini insieme e ti gusti lo spettacolo fantastico e… completamente diverso da quello che avevi fino ad ora osservato passeggiando per le strade. (1: Il macroscopico è diverso dal microscopico)
Lì vicino però c’è un architetto, il quale oltre al gusto estetico ha anche l’occhio clinico (sai com’è, una volta che acquisisci una determinata forma mentis per via dei tuoi studi e poi della tua professione… non puoi farci nulla, vedrai sempre le cose in un modo diverso dagli altri). Vi trovate tutti e due a sorridere e incrociando gli sguardi viene spontaneo commentare ciò che vedete: “ammazza quanto è bello questo paesetto tutto colorato dai fiori di quei giardini” dici tu; “si, bellissimo; tra l’altro tutti hanno orientato i giardini a sud denotando una coscienza distribuita sul fatto che a sud le piante stanno meglio; inoltre i giardini di ogni zona ci sono dei colori predominanti, come se i proprietari si fossero influenzati l’un l’altro e questa influenza diminuisse via via che ci si allontana dal centro della zona dove, presumo, è stato fatto il primo giardino in ordine di tempo”. E via dicendo… (2: nessuno dei vicini si è mai messo d’accordo su come realizzare il proprio giardino, molti proprietari non hanno nemmeno la consapevolezza che a sud le piante stanno meglio o che tutto il quartiere è prevalentemente rosso/blu/verde/etc, eppure esistono sia degli elementi che accomunano tutti i giardini, sia degli elementi in comune tra giardini della stessa zona)
Ad un certo punto l’architetto si intristisce e fa: “sai che lì in quella zona – indicando con il dito – costruiranno un grattacielo da 150 piani?”, e tu “si, se ne è discusso molto in paese, ma non mi tange… mica lo costruiscono sul mio giardino!”; e lui “si, ma farà ombra a 2/3 dei giardini!”; e tu “si ma porterà indotto agli abitanti della zona circostante!”; e lui “si, ma da quassù il panorama sarà …”. E via dicendo…
(3: a forza di guardare l’uno al microscopico e l’altro al macroscopico, non vi capirete mai)
Capisco la riluttanza a sentirsi parte di un gioco socio-politico per il semplice fatto di realizzare un giardino, amare le piante e quant’altro squisitamente personale e completamente avulso dallo zozzume circostante. Sapessi quanto la comprendo. Ma “l’architettura – ndr.: della rete – è politica” (J.P. Barlow); anche se rifiuti con tutto te stesso quell’architettura (e quella politica), entrando nella rete e ancora di più costruendone una porzione (nella “parte abitata” dei blog, o nella “parte tecnica” dei programmatori php, o nella “parte sotterranea” dei sistemisti), ne fai parte e alimenti quella politica. Già soltanto clickando sul bottone “Connetti” di “Connessione Remota” (Dial-up Networking, o come diavolo si chiama ora) di Windows; già lo fai da anni, e non puoi farne a meno di “entrare in rete”. Sei tu individuo, ma sei anche un tutt’uno con gli altri connessi anche senza mai esservi messi d’accordo e senza mai aver anche lontanamente pensato di fare politica con il tuo blog.
Capisco anche la differenza tra un blog in mano ad un fotografo ProAm come PseudoTecnico (per me è Pro!), un Prof di Sc. delle Comunicazioni come te, un politico come Gentiloni, o una corporation a cui Alessio Jacona lo vuole vendere… un mezzo che assume significati diversi in base all’individuo che lo riempie e i suoi obiettivi… ma tutti sono strumenti individuali che implicitamente creano una coscienza collettiva. E lo vedi solo se sali sul monte.
Guardati il primo video qui: http://www.7thfloor.it/2007/05/17/la-sintesi-della-diretta-video-di-robin-good-dal-world-marketing-innovation-forum-di-milano/
E’ un’intervista di Robin a Paco Underhill, un “etologo a servizio del business”; uno che guarda i video registrati dentro a Starbucks (suo cliente)… ti osserva mentre ti avvicini allo scaffale, prendi una scatola in mano, la posi, vai a fare altro, ti guarda fare altro, poi ritorni a prenderla e la metti nel carrello; e da lì capisce come “invitarti meglio” a comprare… Intorno al nono minuto del video parla di “tribal behaviour”, in generale dice che il nocciolo del loro lavoro si è spostato dal comprendere l’individuo (il singolo) al comprendere la tribù (i singoli a rete). Un discorso analogo lo ha fatto anche Neil Rackham, un altro guru (uno scienziato che studiava le relazioni umane, al quale è stato posto un quesito sulle vendite e da allora si occupa di “sales”); non ricordo se lo ha fatto nel video o ne abbiamo parlato passeggiando in una pausa caffè… comunque il video sarà presto on-line su Masternewmedia o 7thfloor.
In sostanza, se prima era possibile manipolare le persone agendo sui singoli (es: paradosso pragmatico, doppio legame e comunicazione paradossale), da quando le persone hanno a disposizione una quantità enorme di informazione, bisogna agire sul gruppo. E tra i bloggers stessi c’è già chi sta usando il blog in questo modo… ed hanno un discreto successo (da quando li ho identificati misuro quotidianamente i loro links e vado a mettere una pezza dove mi appaiono “nasty”)… potrei fare degli esempi, ma non ho le prove e quindi evito di sollevare polveroni inutilmente.
Anche nello spazio reale è così: i comportamenti deviati di Jack The Ripper, che decide se il coltello nelle sue mani è un’arma o uno strumento indispensabile per cucinare, sono il risultato della sua esperienza di vita. L’evoluzione stessa è il risultato dell’interazione con l’ambiente.
Rifiutare queste consapevolezze per la paura che la manipolazione evoca in noi, è il miglior modo di essere manipolati (e di generare tanti Jack). Rifiutare una coscienza collettiva ti rende preda della manipolazione del tuo ambiente. Pensare al proprio giardino, solo a quello, e non fare nulla per evitare la costruzione del grattacielo, significa lasciare che qualcun altro agendo sull’ambiente intorno a te determini cosa farai con il tuo giardino… (se il grattacielo ti fa ombra…).
Soluzione? Openness. E’ l’unica garanzia assoluta e implicita per tutelare gli uomini a rete in ogni manifestazione dell’umanità (software, opere, blog, etc) e anche di più (es: risorse naturali gestite come “commons”).
Ogni azienda, come anche Cisco, nei mesi a venire cercherà di manipolare la tribù. Anche senza avere questo intento; anche cioè senza aver razionalizzato queste dinamiche.
Diffido il signor MFP ad utilizzare nuovamente la metafora del blog/giardino di cui detengo il diritto d’autore per un commento più lungo di 10 righe.
🙂 🙂 🙂
Ah no no caro mio… io ho tutto il diritto di usare la tua metafora… hai scelto tu la licenza CC-A-SA-NC per il tuo blog! E poi chi l’ha detto che sei tu l’autore o che a quella metafora l’autore ha applicato quella licenza? ihih…
Piuttosto dovresti lamentarti con Stefano Epifani perchè non ha esplicitato la licenza con cui pubblica il suo blog! La tua metafora infatti è ShareAlike…
Scherzi a parte… lo so, e scusa… flow of consciusness… sul web è distruptive. Ma come le dici le stesse cose in 10 righe?
beh magari in 10 righe perderebbe parte del messaggio e Stefano non sarebbe così contento di ospitare tante informazioni utili