Pubblico la seconda parte (di tre) di un mio intervento per la rivista I Due Mari. La prima parte è qui.
Come di consueto, i commenti sono benvenuti!

La dimensione “fisica” dell’ICT
Uno degli aspetti più evidenti che riguardano la relazione tra tecnologie ed ambiente è riferibile alla dimensione “fisica” dell’I&CT. In altri termini, produrre i PC è un processo altamente inquinante. Per comprendere la portata del problema basti un dato: Il processo di produzione di un normale personal computer richiede una quantità di combustibile pari a quasi 10 volte il suo peso – i normali elettrodomestici richiedono una quantità di combustibile di ben cinque volte inferiore (“Energy intensity of computer manufacturing: hybrid analysis combining process and economic input-output methods”, E. Williams, Environmental Science & Technology – 2004). Oltretutto, la miniaturizzazione dei componenti è inversamente proporzionale all’energia richiesta per produrli.

In sintesi: per produrre un personal computer servono oltre 200 chilogrammi di combustibile, più di 20 chilogrammi di prodotti chimici, una tonnellata e mezzo d’acqua. Soltanto in Italia ci sono oltre 25 milioni di computer (Rapporto Assinform – 2007), ed hanno un ciclo di vita di meno di un triennio. Non serve prendere la calcolatrice per rendersi conto dell’enorme impatto ambientale che ha tale industria sull’ambiente. A ciò è necessario aggiungere il fatto che nei computer si trovano metalli pesanti come il piombo ed altri pericolosi inquinanti, e che le normative per lo smaltimento dei PC dismessi sono tutt’altro che diffuse o applicate.

Un esempio chiarirà meglio il concetto: una recente analisi svolta in ambito europeo sostiene che l’implementazione del nuovo sistema operativo Microsoft porterà nei sei maggiori paesi UE alla sostituzione di oltre 30 milioni di computer: ciò significa 6 milioni di tonnellate di petrolio equivalente inutilmente bruciate, 660 mila tonnellate di composti chimici pericolosi, 45 milioni di metri cubi di acqua sprecati, solo per permettere a 30 milioni di utenti di far girare un sistema operativo che – nella pratica – farà le stesse cose di quello precedente.

Insomma, malgrado l’informatica faccia senz’altro bene allo sviluppo sostenibile, la sua dimensione meramente fisica rappresenta una seria minaccia. Una minaccia che, con l’aumento della diffusione dei PC in tutto il mondo, deve essere tenuta sotto controllo. Cito Francesca Colombo in un articolo su Ambiente Italia: “L’Ue ha stabilito che le industrie di high-tech devono eliminare le sostanze tossiche e assumersi la responsabilità del prodotto fino alla fine della sua vita utile. Tuttavia a luglio 2006, l’Italia ha rimandato di un anno il suo impegno di conformità alle direttive Ue sullo Smaltimento di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (WEEE, Waste Electrical and Electronic Equipment)”. Le amministrazioni regionali in Italia non sono preparate a gestire il problema, nè esistono aziende che supportino il processo. In questo senso, l’IT non fa certo bene allo sviluppo sostenibile.

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