I Radiohead, rock band inglese con quasi vent’anni di storia alle spalle, hanno fatto molto parlare della loro inizativa legata alla modalità di distribuzione dell’ultima “fatica”: In Rainbows. Il disco, infatti, è scaricabile in rete con una modalità che consente all’utente di decidere quanto pagare il disco, anche nulla. Dopo un mese dal lancio, sulla base dei primi dati, sembra che – su oltre un milione di download – tre utenti su cinque abbiano scelto di non pagare nulla. Gli altri, avrebbero pagato pochi euro.
L’esperienza viene riportata dal Corriere della Sera come fallimentare: “I Radiohead traditi dal paga quanto vuoi“, titola il quotidiano. Ho la netta impressione che Simona Marchetti, autrice dell’articolo, abbia una tendenza innata al pessimismo, oltre che alla distrazione (1,2 milioni di download non sono esattamente la stessa cosa di 12 milioni!).
A caldo, mi viene da fare qualche considerazione:
- rispetto agli economics, la lettura del post di Andrew Lipsman mi sembra d’obbligo. Inoltre, se tre utenti su cinque non hanno pagato nulla, è evidente come due su cinque abbiano invece pagato. Ed anche ad una media (stimata da Comscore) di due dollari ad utente, il totale è di quasi un milione di dollari. Nel primo mese. E senza intermediari.
Se il CD fosse andato in distribuzione secondo i canali tradizionali, per rendere la stessa cifra agli artisti, avrebbe dovuto vendere qualcosa come quasi mezzo milione di copie (raddoppiamo la percentuale per gli artisti? sono sempre duecentocinquantamila copie…). Nel primo mese. Ed ora ci saranno gli introiti dell’edizione “boxed”. Insomma, dire che economicamente si tratta di un fiasco, mi sembra proprio voler vedere a tutti i costi il bicchiere mezzo vuoto. - rispetto alla pubblicità: mi sembra evidente che i Radiohead abbiano ottenuto una quantità di pubblicità (gratuita) pressochè inimmaginabile. E questo non potrà che giovare alle vendite successive della già annunciata versione deluxe.
- rispetto ai numeri: 1.2 milioni o 12 milioni? L’approssimazione della stampa a volte raggiunge limiti lirici. Sta comunque di fatto che le percentuali sono quelle dichiarate dallo studio, indipendentemente dai valori assoluti riferiti al volume di vendita. In questo sono un po’ più tranquillo di Stefano, che in virtù dei numeri più bassi sospende il giudizio.
- rispetto al mercato discografico: ritengo che l’esperimento dei Radiohead vada visto come tale, e di conseguenza da contestualizzare rispetto ad un mercato che a queste iniziative – ed a questi modelli di business – non è (ancora) avvezzo.
- rispetto agli intermediari: è evidente che il ruolo degli intermediari (la distribuzione) debba cambiare. Non assisteremo a fenomeni di disintermediazione (se ne parla da anni, senza che mai si verifichino); ma vedremo senz’altro processi di reintermediazione a valle della rimodulazione delle value chain del settore. La convergenza genera tali fenomeni, e gli operatori del mercato dovranno tenerne conto. Anche loro malgrado.
- rispetto al loro sito: mi chiedo quanti di quelli che ne hanno scritto abbiano provato a scaricare la musica dal sito dedicato. Io l’ho fatto. Non sarò nel target dei loro utenti, ma i ragazzi di Oxford avrebbero bisogno di un buon consulente sul tema dell’usabilità.
- rispetto ai dati richiesti dal sito: per scaricare la musica, è necessario inserire una quantità di dati personali inimmaginabile. Anche questo è parte del “pagamento“, anche se …in natura. Anche ipotizzando che molti inseriscano dati più o meno fantasiosi (del tipo pippo@topolinia.com), immagino che la base di dati attendibili sarà comunque estremamente utile ad una buona azione di marketing push…
- rispetto all’articolo del Corriere: Al Corriere, anche quando citano le fonti, sono sempre stranamente vaghi. La Comscore (che ha fatto la ricerca) sta parlando della cosa dal suo blog da giorni, ma al suo sito (ed al blog) bisogna arrivarci “a mano“. Oltretutto, la loro opinione non coincide con quella del Corriere, ma pur usando il loro studio evitano accuratemente di citarla. Per non parlare del balletto delle cifre…
E poi dicono che i blog sono inattendibili perchè non controllano le fonti…
technorati tags: Radiohead, drm, distribuzione, musica
Ma, rispetto ai numeri continua a esserci poca chiarezza. A dieci giorni dall’ uscita wired pubblicava questo pezzo che ne forniva altri; il numero di download era di 1.200.000 e la media tra i 5 e gli 8 dollari… direi comunque parecchi soldi
E’ il solito vecchio problema del ROI della pubblicità: è difficile quantificare in soldoni quanto si è guadagnato in popolarità e visibilità. Ed è anche difficile calcolare quanto la viralità nella diffusione delle informazioni abbia consentito alla band di risparmiare in pubblicità tradizionale. In tutti i casi, l’approssimazione nel regalare statistiche a destra e a manca non ha contribuito a chiarire la situazione. Mi permetto di essere cinica: il disfattismo dei media mainstream era prevedibile, e anche le dichiarazioni delle major. E’ più vantaggioso economicamente dichiarare il fallimento di un rivoluzionario modello di business che riconoscerne pubblicamente la validità. Forse dimentichiamo da dove vengono le dichiarazioni e chi ha più da perdere da questa faccenda, sono gli stessi che ad oggi controllano il mercato (e che sperano di mantenerne le redini a lungo). Ho il sospetto che le dichiarazioni dei Radiohead dei prossimi mesi siano ancora in grado di dare una sonora scossa a un mercato in perdita.
non mi pare un grande disco, ecco perchè è stato messo on line.
E’ sempre la solita storia: fa molta più notizia il fallimento di un’iniziativa che il suo successo. A maggior ragione se si trata di un esperimento veicolato, supportato (e forse suscitato) dal web, medium intrinsecamente “pericoloso”(lo sappiamo tutti, no?? ^__- )
Il messaggio che passa è qualcosa di simile al: “Avete fatto tanto rumore per il prezzo esagerato dei cd ed ora che l’abbiamo abbattuto, non volete dare neppure un piccolo contributo all’artista! Che branco di ingrati scrocconi siete voi, generzione del file sharing….”
Troppo presto adesso farne un’analisi chiara… al massimo si possono fare delle previsioni da “Angolo dello Scommettitore”.
Ci sono da una parte le major che tremano all’idea che si possa diffondere l’idea che non sono piu’ necessarie… idea gia’ molto diffusa ma che non e’ mai stata “provata”. Dall’altra ci sono varie categorie di persone a cui farebbe piacere avere una prova tangibile di questo. Ma entrambi non possono ne affermare ne smentire perche’ i numeri sono dati a cavolo e se anche vengono riportati bene, sono di fondo delle semplici stime, a 1 mese dall’inizio della vendita.
Angolo dello Scommettitore: tra 18 mesi i Radiohead (autori) da questo album avranno preso il 20% in meno rispetto alla media degli album precedenti (l’unica incognita reale e’ la qualita’ dell’album; piu’ e’ scrauso… meno prendono…). Ma le persoe avranno speso 1/4 per comprare “il disco”; serve tempo per svezzare la gente al donationware.
Ho letto anch’io l’articolo e stavo per scrivere un post con riflessioni simili alle tue (diciamo meno approfondite…).In particolare ho immediatamente pensato che comunque due utenti su cinque abbiano pagato, pur non essendo costretti.
Curioso ma comprensibile, viste le difficoltà di registrazione, il fatto che centinaia di migliaia di utenti abbiano scaricato non dal sito ufficiale ma tramite BitTorrent (via Punto Informatico http://punto-informatico.it/p.aspx?i=2092445 ). Quanti di coloro che si sono infastiditi per il percorso ad ostacoli necessario per il download erano potenziali “donatori”?
Continua a sfuggirmi l’origine del dato di 1,2 milioni di downloads.
Nella press comScore si dice solo “1.2 million people worldwide visited the “In Rainbows” site, with a significant percentage of visitors ultimately downloading the album”.
Possibile che solo io ci legga il fatto che 1,2 milioni sono i visitatori del sito nel periodo, e non il numero di downloads?
Avete forse altri link comScore più precisi, che io non ho trovato?
Da Quintarelli non mi ha risposto nessuno, e tutti continuano a riportare il dato sbagliato. Vediamo se riesco a far rispondere qualcuno degli amici 😉
Sinceramente io non riesco a capire neppure dove stia il bicchiere mezzo vuoto.
Qualche integrazione a quanto si è detto dunque…
In primis i dati forniti sono stime assolutamente causali e basate su un sondaggio privo di ogni valore di riferimento secondo le leggi statistiche. Comscore lo ha fatto tra i suoi utenti, i Radiohead hanno comunicato che i dati sono lontanissimi da quelli reali, che continuano a non pubblicare.
Nessuno li pare ascoltare a riguardo, eppure sono i soli che dovrebbero avere informazioni concrete a proposito.
Mi permetto poi di mettere una buona parola anche per l’organizzazione del sito e la raccolta dei dati. I radiohead non sono un gruppo qualunque, vivono in rete da quando io e gran parte delle persone che oggi sparlottano di loro neppure la utilizzavano.
Hanno una filosofia di immagine che da tutt’uno con le loro idee politiche, la loro musica e le loro dichiarazioni pubbliche. Il sito internet di In Rainbows non fa altro che seguire la linea che hanno preso da The Bends in poi, non è cervellotico perché manchi un user designer, ma perché cosi è stato costruito. Non credo si possa criticare una scelta consapevole in questo caso.
L’ultima cosa che aggiungo riguarda i dati richiesti. Sono gli stessi, mi pare, di quelli che chiedono da sempre. Io comprai sul sito della waste per la prima volta nel 1997, da allora avro ricevuto al massimo una ventina di mail, tutte estremamente casereccie e gradite (ricordo anche una splendida mail di thom yorke per il natale di qualche anno fa). Non ce li vedo a fare del marketing con i dati raccolti o a venderli a qualcuno, sarebbe un qualcosa di insolito per me, oltre che sgradito.
In attesa di dati degni di tal nome per ora, visto il successo (tutti i miei amici ne parlano, da un mese su lastfm tutta la top ten è loro), la spesa zero e la distribuzione tradizionale che stanno predisponendo vedo solo un buon successo a fronte delle copie che vendette il precedente cd.
Ah, mai scordarlo, il cd è anche bello!
Come Sid lessi l’articolo di Wired a mi parve piuttosto interessante, specie a così breve distanza dal lancio. In un’operazione di questo tipo l’effetto “virale” è molto più accentuato della norma.
Nel mio ufficio (londra) ad esempio si parla raramente di musica pop, eppure _tutti_ hanno scaricato l’album, pagando una media di 5 sterline.
Non metto in dubbio che la media si sia abbassata col tempo, ma , come dici giustamente, non essendoci intermediari il profitto è comunque a favore della band 🙂
Poi, voglio dire… se non si lamentano loro… 😛
Concordo su tutto, compresa la scarsa usabilità del sito (che forse ha scoraggiato un pò di gente)!
Bisogna però considerare che i Radiohead non sono nati ieri e quindi sarebbe da verificare nel prossimo futuro se questo “modello di business” possa essere sostenibile da medie e piccole band.
Comunque, io ci spero nella disintermediazione 🙂
Concordo con MFP quando dice che bisogna svezzare la gente al donationware. Per esempio riporto la mia esperienza.
Sono abituato a non pagare nulla per la musica, almeno da quando esistono mp3 e webradio. Ho un paio di artisti preferiti di cui ho cercato di comprare gli album originali, ma il più delle volte funziona su prestiti, download ed ascolto in rete. Sono uno di quelli che ritiene eccessivo il costo dei cd e per questo ho voluto provare l’esperimento dei radiohead.
Ho pagato una sterlina per il loro album.L’album mi è piaciuto, pur non essendo un loro fan e dopo l’ascolto mi sono sentito in colpa per aver pagato troppo poco
@Sid
in realtà la mia impressione positiva non deriva dai valori assoluti, ma dalle percentuali: 2 su 5 mi sembra comunque un buon risultato, non trovi?
@Faba
come al solito, sono d’accordo con te! 🙂
@federico bo
…in effetti c’era un vero percorso ad ostacoli! Mettici poi l’abitudine a scaricare tramite uno strumento…
@Andrea Martines
rileggendo il tutto devo dire che hai ragione, ma come ho già detto, quello che ritengo sia rilevante è non tanto il valore assoluto degli “scaricatori”, ma il rapporto tra chi ha pagato “qualcosa” e chi no, non trovi?
@Simone Morgagni
ComScore è una società che ricerche di mercato, e il suo sondaggio non è affatto assolutamente privo di validità scientifica.
Non conosco i Radiohead, ma senz’altro il loro sito è abbastanza contorto. Si può seguire una linea pur essendo coerenti con criter di usabilità, i Radiohead al massimo, hanno seguito una curva. Ed anche molto tortuosa.
Fare azioni di marketing non è di per sè scorretto. Se i dati li chiedono, immagino che abbiano anche intenzione di utilizzarli, ma non vi vedo nulla di male…
@Riccarco (bru)
come dire: c.v.d.! 🙂
@MarioEs
Ecco: il tema della sostenibilità del modello per band che partono da zero è assolutamente interessante…
@Enzo Santagata
bhè.. puoi sempre rimediare! 😛
26econ.com pubblica una ricerca sull’andamento delle donazioni musicali presso il sito Jamendo.com. Mi pare che i risultati siano lusinghieri con una media di circa 15dollari ad album. Quanto all’atteggiamento negativo e pessimista di certa stampa nostrana è figlio certamente del più generale atteggiamento di sfiducia delle classi dirigenti economiche, che temono di essere “disintermediate”, e si riflette spesso in enunciazioni distruttive su ciò che è nuovo nel mondo della comunicazione…