Anche a valle della lettura dei commenti a questo post (come spesso mi accade più interessanti del post stesso), ritengo possa essere utile continuare a speculare per un po’ sul tema della virtualità reale, o della “cultura della virtualità reale”, come l’ha definita Castells. Cultura che è nel contempo virtuale e reale. Virtuale in quanto elaborata in prima istanza per mezzo di processi di comunicazione virtuale ed elettronica. Reale (e non immaginaria) in quanto si tratta della realtà vera e materiale dell’esistenza individuale.

Opinione condivisa, quella di Castells, anche da Bolter e Grusin (per intenderci, gli autori di Remediation), secondo i quali gli individui costruiscono le loro identità collettive come una rete di collegamenti tra i tanti sé mediati ai quali Castells si riferisce come “cornice semantica” del vissuto soggettivo: “è un sistema in cui la stessa realtà (ossia, l’esistenza materiale/simbolica delle persone) è interamente catturata, completamente immersa in un ambiente virtuale di immagini, nel mondo della finzione, in cui le apparenze non sono solo sullo schermo attraverso cui l’esperienza viene comunicata, ma divengono esperienza”.

L’identità è il risultato di processi di comunicazione. I processi di comunicazione si esplicano sempre più non attraverso la separazione (online vs offline, in presenza vs mediazione tecnologica) bensì attraverso una reciproca compenetrazione di reale e virtuale. Allo spazio fisico si sovrappone uno spazio elettronico di tipo simbolico, in cui si fa evidente come eventi comunicativi anche relativamente effimeri tendano a strutturare relazioni sociali significative dal punto di vista degli individui. Da tali eventi e relazioni, i soggetti traggono le risorse per definire “creativamente” il proprio essere.

Del resto, è evidente come sempre più spesso l’identità stessa vada concepita secondo una prospettiva centrata sulle relazioni, vale a dire sulle dinamiche di connessione.
Tenendo presente questo, è possibile comprendere insieme sia le aspettative che caratterizzano l’investimento comunicativo individuale, sia la complessità e l’aleatorietà delle relazioni sociali, nella costante ricerca di un equilibrio difficile da ottenere. Virtualizzare i legami sociali vuol dire realizzarli in forme diverse, affidarli a modelli di selettività nuovi ed inediti. E sono proprio i modelli di selettività, in ultima analisi, a contribuire alla definizione dell’identità sociale, autoalimentata proprio attraverso un processo di selezione più o meno consapevole attuata dal proprio sé reale, in maniera tale che rispecchi le istanze del corrispondente – o dei corrispondenti – sé virtuali

L’integrazione sempre più marcata tra la trama delle relazioni online (virtuali) e quelle offline (reali o fisiche) consente di ricomporre una frattura che a lungo ha diviso artificialmente i due mondi e segnala, al contempo, come il tema dell’identità negli ambienti mediati sia ancora tutto da definire…

UPDATE DEL 3/08: Di un tema vicino a questo si è parlato anche da queste parti!

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