In una campagna per la prevenzione degli incidenti stradali il protagonista viene gambizzato da un’auto che sbanda. In quella contro la droga c’è un ragazzo che si estrae pezzetti di cervello, li “taglia” con una carta di credito e se li sniffa con nonchalance. Il solito Toscani mostra Isabella senza veli per promuovere un brand e con la scusa combattere l’anoressia (o per promuovere un brand con la scusa di combattere l’anoressia, fate voi). Insomma, da qualche tempo è un vero e proprio fiorire di pubblicità shock, come ben testimonia anche Trendelemburg, blog nato nel nostro laboratorio ma che ormai cammina tranquillamente con le sue gambe.

Nel grande overflow informativo che ci circonda, è evidente, un messaggio forte ha più facilità a “passare” ed essere percepito dai destinatari. Sangue, budella al vento, violenze sessuali, squartamenti da far impallidire i gestori di Rotten.com sembrano diventati strumenti di comunicazione ordinari per i pubblicitari, ai quali ricorrere per attirare l’attenzione come sino a qualche anno fa si faceva mostrando donne nude anche per promovere il dentifricio (poi, cosa c’entri un culo con un dentifricio è un vero mistero).

E il risultato, temo, sarà lo stesso. Assuefazione. Così come oggi non fanno più scalpore un paio di tette in prima serata, domani potrebbe non essere più così sconvolgente assistere ad uno squartamento in prime-time per promuovere una crema per le emorroidi. Le intenzioni – per ora – saranno anche nobili (droga, incidenti, anoressia…) e gli obiettivi (spesso) altamente condivisibili, ma comincio a sospettare che la strada dello shock stia pian piano diventando una vera e propria scorciatoia.

Una scorciatoia a volte gratuita, che rischia di far si che il limite dell’orrido, ossia quel confine tra ciò che si può far vedere e ciò che non dovrebbe esser visto, si sposti sempre di più. Non si tratta di censura, nè tantomeno soltanto di buongusto (che dimostriamo di avere peloso e falso-perbenista, quando censuriamo Rocco Siffredi che parla di patate).

Si tratta di dinamiche sociali per le quali se oggi diventa normale vedere in TV scene particolarmente crude e che anni fa ci avrebbero senz’altro turbato, allora domani tali scene potrebbero non sconvolgerci (o non sconvolgere i nostri figli) quando le vedremo uscire dalla TV, e finire nelle strade. Se vedo una violenza sei volte al giorno mentre guardo la televisione, questa potrebbe non sconvolgermi più di tanto, quando dovessi vederla dal vivo. Ed è solo la punta di un iceberg che sottende miriadi di corto-circuiti mediatici tra la realtà, la finzione e la nostra capacità di distinguerle.

Uno shock oggi, uno shock domani, inevitabilmente saremo assuefatti anche agli shock. E dopo?

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