Questa settimana su ePolis ho pubblicato una breve riflessione – fatta decisamente a caldo – sulle primissime evidenze di una ricerca che sto conducendo assieme a due mie giovani e brave tesiste (ogni tanto qualche complimentoa chi se lo merita non guasta). Il tema della ricerca è la comunicazione politica nell’era del Web 2.0. In altri termini, l’idea è quella di rispondere alla domanda “i nostri amministratori ed i nostri politici che uso fanno delle tecnologie di comunicazione interattiva?“…
Ultimamente si fa un gran parlare di come il Web e le nuove forme di comunicazione on-line possano cambiare il modo di vivere la relazione tra il cittadino ed i suoi rappresentanti. Ma quelli che vengono definiti “social media” stanno mutando realmente tale rapporto? In altri termini, quanto sono usati dai nostri politici e dai nostri amministratori i potenti strumenti di relazione che internet mette a disposizione? A questa domanda abbiamo tentato di rispondere con una ricerca condotta dal La Sapienza, Università di Roma. I risultati preliminari sono forse prevedibili, ma non per questo meno sconfortanti. A parte pochi sperimentatori, che della comunicazione on-line hanno fatto un vero e proprio cavallo di battaglia, nella sostanza c’è il vuoto. Un vuoto fatto di indifferenza completa nei confronti delle potenzialità che la Rete metterebbe a disposizione se soltanto vi fosse qualcuno pronto a sfruttarle. Un vuoto colmato al più da qualche candidato che apre un sito elettorale con il quale dialogare con il cittadino durante le elezioni, ma che quando da candidato diviene eletto, dimentica completamente tale dialogo, incurante persino di cancellare i resti di eteree promesse. Resti che il più delle volte rimangono nella memoria della Rete, a testimoniare che le buone intenzioni e la volontà di dialogo con il cittadino sono presto scomparse, durate il tempo di uno spoglio.
“empiricamente” parlando mi verrebbe da dire la capacità comunicativa dei personaggi politici -di qualsiasi livello- è rimasta chiusa nelle stanze dei bottoni, dove queste persone “fanno politica”, nel senso di fare un sacco di chiacchiere con i loro pari.
non è un caso che si parli del ruolo che la Rete potrebbe avere (e secondo me non avrà mai, almeno da noi) nel favorire processi più democratici, aprendo una conversazione con coloro che, in teoria, dovrebbero essere i mattoni di una società democratica.
io vivo in una paesino di 4000 anime il cui consiglio comunale è stato smantellato “per incompetenza”, messo in amministrazione controllata, con tanto di commissario esterno.
tutto è iniziato da una pessima gestione di un progetto di una tangenziale, che, in quella che doveva essere la sua forma definitiva, è stato presentato ai cittadini così: “ecco, la strada deve passare di qui, entro 4-6 mesi dovete sgomberare”.
Questo per dire che se il livello di “interazione umana” è così lontano in un paese microscopico (il sindaco era la mamma di un mio compagno di squadra, per dire), beh, credo che il problema comunicativo della politica sia molto più a monte della Rete.
Diciamo che gli uomini di partito, non tutti per carità, fanno della rete un uso pessimo e strumentale. Se se ne stessero alla larga forse sarebbe meglio.
Ciao, Stè, buon Natale;)
Ho rimesso il naso in politica da qualche mese (PD) e con alcuni ragazzi (io sono il nonno) abbiamo provato a spostare un po’ di potenziale interazione sociale sulla rete… I vecchi marpioni ci hanno lasciato fare, e poi hanno continuato a comunicare… a modo loro: nelle loro riunioni di corrente, di sottocorrente, di sottocorrente della sottocorrente… Lo so, è un luogo comune, ma… Buona vita. (a proposito: ma non è che la cosa vada tanto meglio a scuola o… non sarà che gli abitanti delle rete sono di fatto gli esoterici adepti di nuove sette che alla fine comunicano solo fra di loro?)