Sembra proprio che non se ne possa più fare a meno. Dei miei studenti di quest’anno poco meno del 10% ha un blog, ma più di due terzi ha un profilo su Facebook . La stampa ne parla con l’approccio che le è consueto (vale a dire: a vanvera), i blogger gli dedicano fiumi d’inchiostro (pardon, di bit). Persino il Garante della Privacy non riesce a star zitto e deve dire la sua scempiaggine, dimostrando di parlare di cose che non conosce.
La privacy è uno degli argomenti dei quali più si discute. Dovrebbe rientrare nelle norme del buon senso il fatto che pubblicando quancosa su Facebook (come altrove) essa diventi de facto di dominio pubblico. Tuttavia molti lo dimenticano, e d’altro canto non è la prima volta che assistiamo a situazioni nelle quali incauti utenti finiscono per essere vittime delle loro confessioni on-line. Ma il problema della privacy è forse meno importante di un altro fenomeno che sta silenziosamente cambiando il nostro modo di vivere. Mi riferisco al tema dell’identità sociale, della quale si è già parlato da queste parti circa un anno fa, a seguito di un post di Catepol sul tema. Allora il focus, in un contesto in cui i social network erano molto meno diffusi di oggi, era centrato sul fatto che diversi strumenti di social networking contribuiscono alla costituzione di profili identitari unitari, sulla base di modelli che consentono di esprimere la propria identità in rete (i pattern identitari). Si parlava, allora, di identità virtuale digitale ed identità reale fisica (concordo), intese come modi diversi di esprimere la propria identità.
Ma ognuno di noi assume, in momenti diversi della propria vita – in momenti diversi della propria giornata – identità ed atteggiamenti sottilmente differenti. L’austero padre di famiglia si trasforma in un mite travet soggiogato da un capo autoritario, che a sua volta sfoga così la sua condizione di marito dimesso. Con gli amici ci permettiamo atteggiamenti che potrebbero stridere con la nostra immagine professionale; in famiglia siamo diversi da come siamo con gli amici, e così via.
Cosa succede quindi nel momento in cui un numero sempre maggiore di persone si sposta on-line? La rete – nei social network come Facebook – rappresenta un vero e proprio ambiente di generazione di cortocircuiti identitari. Studenti accedono ai profili dei propri professori, datori di lavoro dei propri dipendenti, mamme dei loro figli e delle loro figlie. Il diario, che si era aperto ad un circolo ristretto di persone generalmente diverse da quelle frequentate tutti i giorni, diviene un vero e proprio diario pubblico, aperto, in cui l’autore rischia di sovraesporsi, se non ha la consapevolezza della scomparsa di quelle barriere che prima dividevano i diversi universi nei quali normalmente ci muoviamo.
Ecco quindi che l’identità diventa condivisa, in un contesto in cui sarà sempre più difficile differenziare i vari ambiti ed in funzione di ciò adattare i nostri comportamenti. Le reti sociali che si sviluppano on-line e le piattaforme che le supportano, abolendo il diritto all’oblio, fanno di internet un grande condominio nel quale tutti possono sapere tutto di tutti, perchè tutti mettono tutto in piazza.
Un nuova realtà con la quale fare i conti: che ne pensate?