Ci sono persone che non posso che ammirare per la loro capacità di cercare sempre il buono delle cose. Di vedere il bicchiere mezzo pieno. Di rifiutarsi di vedere l’abisso di ignoranza che le circonda. Quindi, come non ammirare Ernesto, che di fronte alle parole di Enzo Boschi si rifiuta di credere che un docente universitario di tale levatura intendesse davvero dire quello che ha detto?

Di che si parla? Del fatto che, visto che c’è il rischio che i dati rilasciati dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia vengano letti ed interpretati da altri, il suo Direttore – Enzo Boschi appunto – sta seriamente pensando di smettere di renderli disponibili. Alla faccia dell’Open Data. Eh si, perchè – afferma sempre Boschi – “qui impieghiamo più tempo a inviare rettifiche ai giornali che ad elaborare risultati“.

Ernesto non può pensare che Enzo Boschi – Grande Ufficiale della Repubblica Italiana, Benemerito della Cultura, Cavaliere di Gran Croce, Accademico dei Lincei e tante altre belle cose – dica sul serio, e quindi sostiene che le sue osservazioni siano una provocazione.

E invece io, che così ottimista non sono, drammaticamente penso che Enzo Boschi intendesse dire proprio quello che ha detto. Si, perchè Enzo Boschi, dagli indubbi meriti scientifici ed accademici, forse proprio in quanto benemerito cavaliere accademico e via dicendo,  è figlio di una cultura – quella dei baronati universitari italiani – per la quale tutto ciò che è estraneo al Gotha degli Eletti è perdita di tempo, banalità, disturbo.

E così, mentre gli scienziati di mezzo mondo liberano i dati e favoriscono lo sviluppo di un modello di condivisione della conoscenza e del sapere degno del secondo millennio, i nostri Baroni vivono tutto ciò come un fastidio. Come un intralcio. Come una seccatura. E così, mentre altri fisici hanno inventato il Web, i nostri si chiedono se non sia il caso di smettere di perderci tempo.

Senza considerare, afferma lucidamente Ernesto, che tutto sommato quei dati sono nostri, visto che li abbiamo pagati noi. Senza considerare che altri paesi vedono nell’Open Data un vero e proprio modello di sviluppo sul quale basarsi. Senza contare che, tutto sommato, per certi aspetti alcuni paesi sono forse più civili del nostro.

PS: in realtà, Ernesto – viste le soluzioni che auspica – è ben consapevole di tutto ciò, ma è troppo sottile per dirlo! 🙂