Ripensare il Copyright. E’ questo il tema della mia riflessione di oggi, pubblicata nelle pagine della cultura dei quotidiani del gruppo e-Polis.
In sintesi, mi chiedo come può un sistema concepito per controllare la stampa inglese del XVI secolo funzionare per tutelare gli interessi degli autori del XXI secolo…
Qui il file PDF con l’articolo. Che ne pensate?
Con Alitalia, le agenzie di viaggio hanno in effetti tentato di vietare l’emissione dei biglietti via internet a tariffe scontate 🙂
Detto questo, la forza delle major odierne è inestricabilmente legata ai relativamente pochi big che danno grandi guadagni e si beccano grandi contratti. Credo che sarà difficile rigirare la cosa in maniera tale da ridurre il loro potere, proprio perché i “soliti artisti noti” sono conniventi con il sistema.
per lo stesso motivo per cui una costituzione fatta nel ’46 viene oggi “utilizzata” in un paese che si definisce democratico, ma di democratico ha molto poco 🙁
L’obsolecenza normativa è una cosa, il riconoscimento dei valori è un’altra e lo stravolgimento dei principi un’altra ancora.
Innanzi tutto non confondiamo il Copyright con il Diritto d’Autore che sono cose piuttosto diverse.
Un po’ come confondere Open Source e Free Software…
Per quanto riguarda la mia opinione sull’articolo, mi trova sostanzialmente d’accordo anche se il problema attuale, a mio parere, è da ricercare nell’inversione dei rapporti di forza.
Nel 1941 quando fu normato il codice per la protezione del diritto d’autore veniva riconosciuta una protezione giuridica ad un soggetto debole, l’autore, di fronte ad un soggetto forte, la diffusione incontrollata delle opere e la loro riproduzione indiscriminata.
Oggi, il problema è che il diritto d’autore, nella sua componenete patrimoniale, assicura ad un soggetto forte (la distribuzione) una serie di attività esclusive, come la riproduzione e la copia, su opere che hanno perso una componente economica data dal supporto fisico. Per questo motivo una delle caratteristiche di forza di una distribuzione potenzialmente senza supporto e quindi economicamente vantaggiosa, è in mano ad un soggetto già forte finanziariamente e ulteriormente difeso da un principio giuridico che negli anni è stato formemente manipolato dalla stessa lobby che ne trae un giovamento.
I soggetti deboli (autori e fruitori) non hanno grossi poteri, perchè i primi vengono schiacciati in fase negoziale e i secondi mediante un mercato controllato e giuridicamente difeso.
La soluzione potrrebbero essere le licenze libere, che mettono direttamente in contatto l’autore con il suo pubblico. Ovviamente è necessario ripensare un modello di business che non sia più legato al mercato del carbone di fine 1800…
@Luca Santoni
Sono d’accordissimo!!!
Ma quanto dovremmo aspettare perchè qualcuno se ne renda davero conto? 😉
His name is Bond, James Bond!
(invece il mio è Luca Sartoni)
Sul tema diritti d’autore ho lasciato appena poco fa un thread (con piccoli consigli e qualche link a sane letture) ai “nostri” bloglabbers. Non si è mai troppo giovani per indignarsi…
Nel mio sito a questo indirizzo
http://www.brain2brain.net/index.php?option=com_docman&task=cat_view&gid=44&Itemid=175
ho inserito e sono liberamente scaricabili un pò di testi sul copyleft e l’open source: se non li conoscete già, provate a darci un’occhiata.
Per quanto concerne il tema del diritto d’autore e del copyright (che sono due aspetti diversi, ma figli di UNA STESSA CULTURA) concordo con Stefano e Luca Sartoni: il diritto attuale non è in grado di dare una risposta equa ed accettabile commisurata alla enorme innovazione di Internet e del WWW.
Piuttosto, come dice Lawrence Lessig – Presidente e fondatore di Creative Commons -, il diritto sembra sempre più orientato, sotto la pressione delle lobbies, a proteggere gli intermediari di cultura che non i suoi produttori ed i suoi fruitori.
Tutto ciò non fa che confermare un trend consolidato della nostra cultura liberista, in certo senso “succube” delle major multinazionali, che cerca di soffocare l’innovazione (il “nuovo”)per proteggere le posizioni dominanti e consolidate delle grandi aziende (il “vecchio”).
La possibilità data da IPRED2 alle aziende di “investigare” sulle infrazioni alla proprietà intellettuale è davvero RISIBILE e al tempo stesso gravissima.
Una vera soluzione paradossale ed anti-democratica che la dice tutta quale livello di pressione abbia dovuto sopportare la UE per legiferare su questa controversa materia.
Eppure la strategia di Lisbona sembrerebbe essere finalizzata all’innovazione più che alla protezione di vecchi modelli di business.
O no?
In tutto questo, però, i mass-media tacciono COLPEVOLMENTE e le priorità sono date come sempre da un agenda setting ad effetto ed emotivamente redditizio (cioè si guadagna sui guai degli altri e su tematiche “ad effetto”).
La Blogosfera, a mio parere, dovrebbe mobilitarsi massicciamente in tal senso, anche se il FAIR USE può essere indubbiamente la panacea per molti.
Inoltre, come hai detto tu non esiste la Blogosfera ma le blogosfere, per cui bisogna vedere se un ipotetico “tam tam” possa avere una capacità trasmissiva “virale” o meno.
Resta il fatto che è sempre più evidente nella nostra cultura il trade-off tra libertà e controllo/sicurezza.
E purtroppo la spuntano guarda caso sempre i più “potenti”.
Ciao
Questo mi è piaciuto molto di più di quello sul wireless. Però ci vai sempre troppo leggero! Troppo radicale io? Boh… può darsi.
Credo sia importante iniziare a fare dei distinguo tra diritto d’autore e il resto… perchè parlando di “diritto d’autore” si crea un luogo comune sibillino che paradossalmente rischia di portare il popolo bue perfino a paggiorare la propria situazione permettendo in questo clima pro-major di mettere mano al diritto d’autore propriamente detto…
Anche io fino a pochi mesi fa non facevo distinguo, però è importante farne perchè approfondendo un po’ mi sono reso conto che il diritto d’autore di fatto sta bene così come sta: le opere sono gia’ un public good di cui noi siamo tutti titolari senza dover pagare alcunchè, in quanto paghiamo le tasse necessarie a garantire i diritti del caso agli autori (ie: diritto di sfruttamento economico e diritti morali connessi alla produzione di un’opera; punto); garantire diritti costa caro (polizia, giudici, tribunali…); le opere le paghiamo a priori (come ad esempio fa la Microsoft con i brevetti che escono dall’Università di Trento). Il problema non è nel diritto d’autore, ma nel resto: sono ad esempio i vincoli contrattuali che pongono le major (come diceva Luca) nelle fasi pre-produzione verso gli autori e post-vendita verso i fruitori delle opere.
Probabilmente la situazione si potrebbe normalizzare semplicemente imponendo una distinzione netta e ad ampio spettro tra lucro e non-lucro; che poi fondamentalmente significa semplicemente riscrivere “lucro” dove a partire dai primi anni ’90 si è cominciato a scrivere “profitto” (che include il lucro ma anche “il diletto” o “il risparmio”). Una parolina sola che cambiata in 2-3 leggiucole ha creato questi mostri…
Fra l’altro questa linea di demarcazione che separa lucro e non-lucro è proprio quella cosa che unisce copyright, diritto d’autore, creative commons… è un caso che tutto il mondo converge sulla distinzione tra chi con un opera lucra (es: un editore, una discoteca, etc) e chi non ci lucra (io, tu, loro… chiunque non ne tragga del denaro)?
E poi in qualsiasi cosa si parli di diritto d’autore bisogna assolutamenre spendere almeno 10 parole per parlare dell’economia dell’abbondanza…
salve a tutti .. una cosa mi sconcerta parlando di copyleft [creative commons] che sia riconosciuto legalmente solo in america .. mentre nelle blogosfere che ci circondano , è rimasto ancora un fattore etico/morale … mah !
Copyright nuove regole dalla comunità europea fine comunicazione di servizio ! 🙂